
I Simboli del Natale
In questo articolo Laura Tuan spiega le origini dei simboli del Natale e dà alcuni suggerimenti rituali per potenziarne il significato e quindi l’effetto.
L’albero
Nell’antico Egitto per i culti del sole si addobbava una piramide, tradizione poi ripresa anche da altri popoli. Nei paesi nordici la forma triangolare più diffusa è l’abete, tra l’altro simbolo di eternità e rinascita in quanto è un sempreverde, utilizzato dagli sciamani come scala tra questo e gli altri mondi. L’usanza di addobbarlo nasce dalla tradizione germanica dell’albero nuziale, carico di frutti, gale e fiori, come augurio di fecondità.
Già nel 1100 sui sagrati delle chiese era consuetudine mettere in scena storie bibliche, molto gettonata tra questa era la “creazione” con l’albero del bene e del male che veniva addobbato con frutta. Noci e mele erano gli unici ornamenti degli primi alberi di Natale attestati dalla storia (nel 1512 in Alsazia); solo più tardi comparvero le candeline, i dolcetti e infine i globi di vetro e il nastro argentato, che rievocano i pianeti e la via lattea, trasformando l’abete di Natale in albero del cielo.
Per quest’anno vi suggerisco una simpatica usanza dalla Finlandia: dedicate un piccolo albero di Natale anche agli uccellini. Come? Basta una mazzo di spighe sul davanzale della finestra e una ciotolina con dei semi: gli uccellini rallegreranno le vostre feste, portandovi una ventata di felicità.
Il cero
Simboleggia il Cristo-sole, luce che brilla nel mondo. Di fatto la candela è l’immagine della vita umana, che nasce, arde e infine si spegne, tanto che nelle antiche feste romane dei saturnali, celebrate come il Natale attorno al solstizio d’inverno, i ceri sostituivano più arcaici sacrifici umani, perché il loro nome, phota, significava sia uomo sia luce. In Francia e in Gran Bretagna i ceri di Natale non sono uno ma tre, fusi alla base in un unico corpo come rappresentazione della Trinità.
Al di là delle trovate più originali ma spesso innaturali, le candele di Natale dovrebbero essere di cera vergine, colorate e profumate con essenze naturali, meglio di tonalità calde (giallo, arancio o rosso). Un modo speciale per anticipare la grande festa è la novena con le candele, che si effettua accendendo nelle nove sere precedenti il Natale (quindi dal 16 al 24 dicembre) nove candele tutte uguali e lasciandole ardere fino a esaurimento, affidando alla fiamma la realizzazione di un’intenzione positiva.
La corona
Fatta di ramoscelli di sempreverdi intrecciati, tra cui non devono mancare abete, alloro e agrifoglio, tutte piante solari, è un concentrato di elementi simbolici che accompagnano l’appuntamento col divino il 25 dicembre: il verde che richiama alla speranza e al rinnovamento, le pigne, le noci e le mele che la decorano, come augurio di fecondità, nastri annodati che alludono al legame con Dio e con gli altri uomini.
Ma soprattutto i quattro ceri, che si accendono uno alla volta nelle quattro domeniche d’Avvento (il quinto, al centro, brillerà solo a Natale), dedicati rispettivamente ai profeti, a Betlemme, ai pastori e agli angeli.
Il ceppo
Nelle antiche case contadine, tutte dotate di camino, il ceppo natalizio era una sostituzione del sole, in questo periodo dell’anno indebolito e bisognoso di sostegni. Di rigore era trascinarlo per tre volte intorno alla casa, prima di collocarlo sul focolare, dove doveva essere acceso nella notte di Natale e il rimanente a San Silvestro, ricevendo in offerta il primo boccone e il primo sorso di vino del cenone. La tradizione francese prescriveva che ad accenderlo fosse il bambino più piccolo di casa, inoltre le ceneri potevano essere conservate tutto l’anno come amuleto contro fulmini e guai.
E se il caminetto non c’è? Rimediate con il tipico dolce francese, la bouche de Noel, vale a dire un pan di spagna arrotolato, farcito e ricoperto di crema al cioccolato, rigata con i rebbi di una forchetta per simulare la rugosità del legno.
Le piante di Natale
Oltre all’abete, Natale è sinonimo di altre piante: tra i fiori primeggiano la rosa di Natale (elleborus niger), con una corolla bianca a cinque petali appena sfumati in rosa e la stella di Natale (euphorbia pulcherrima o poinsettia), con brattee rosso vivo, nate secondo la leggenda messicana, dalla miracolosa trasformazione di un ciuffo d’erba, offerto all’altare natalizio da una bambina povera che non poteva portare altri doni.
A queste si associano l’agrifoglio, le cui bacche rosse evocano dei piccoli soli e l’immancabile vischio, la pianta sacra che i celti coglievano il 21 dicembre con un falcetto d’oro, distribuendolo al popolo come promessa di salute e fecondità.
Doni
I regali di Natale li hanno inventati i romani, molto prima della nascita di Cristo e dell’istituzione del Natale, stabilito da concilio di Nicea solo nel 325. Quando Cesare trasferì il Capodanno dal 1° marzo al 1° gennaio, dedicato al dio Giano dai due volti (il passato e il futuro), nacque l’usanza di farsi gli auguri scambiandosi i fichi secchi, ramoscelli di ulivo e alloro, sacri alla dea della salute e vasi di miele, perché l’anno scorresse dolce così come era iniziato.
Ma già nei giorni del solstizio d’inverno, tra il 17 e il 23 dicembre, in occasione dei saturnali, tra banchetti, giochi d’azzardo e scambi di ruoli sociali, come nel nostro Carnevale, si offrivano agli amici statuette d’argilla, candele, monete o pietre dure; simboleggiavano i doni del caso, impersonato dal dio Saturno e, come tali, dovevano essere graditi.
Nel medioevo i doni erano un obbligo, non contraccambiarli comportava un’offesa che poteva scatenare conflitti, perciò demandare la loro distribuzione a figure mitiche, come il re del vischio o san Nicola, fu l’espediente per eliminare l’obbligo, conservandone tuttavia il senso di gratitudine, premio educativo o riconferma di patti e alleanze sociali.
Volete dare un tocco più magico ai vostri doni? Solarizzateli avvolgendoli in carta rossa o dorata, in più curate che il numero tre, che potenzia l’energia positiva, sia sempre presente (tre fiocchi, tre pigne, tre foglioline di vischio o, alluso orientale, tre farfalle, portatrici di fortuna e felicità).
Il calendario dell’avvento
Lo conoscono tutti: un cartone decorato con immagini natalizie e 24 finestrelle, dal 1° al 24 dicembre, con inserito un regalino, di solito di cioccolato, quello che forse non tutti sanno è che ogni finestrella vale una promessa; secondo la tradizione germanica non si può aprire la successiva senza aver compiuto una buona azione.
Presepe
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la natività che a partire dal medioevo prende il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, mangiatoia. Vi si narra della nascita avvenuta in una grotta perché Giuseppe e Maria non avevano trovato albergo a Betlemme, dell’asino e del bue che riscaldarono il Bambino con il fiato, dell’annuncio ai pastori fatto dagli angeli e dei magi venuti da oriente, guidati da una stella. Dal IV sec. l’attività diviene uno dei temi dominanti dell’arte sacra, ma fu di San Francesco l’idea di farla rivivere con personaggi viventi in un ambiente naturali. Tra le innumerevoli varietà di presepi oggi reperibili, le intramontabili statuine napoletane del vicolo dei presepi e santoun marsigliesi, statuette in argilla rivestite con gli abiti tradizionali in tessuto provenzale, curatissimi nei dettagli.
Volete un tocco di originalità? Alle tradizionali statuette unite i due pezzi forti spagnoli del presepe, Tio (un tronchetto d’albero che scosso distribuisce dolcetti) e caganer, uno dei più originali e divertenti portafortuna natalizi.
La tavola
Oro e rosso per piatti e decorazioni, che devono richiamare il colore del sole. Solari anche le vivande, soprattutto pani dolci, arricchiti con uova, miele e frutta, tutti simboli di calore, abbondanza e rigenerazione, mentre il pane è sinonimo di fratellanza.
Alla fortuna alludono anche la zucca (basta pensare alla sua magica trasformazione in carrozza principesca) e la frutta secca, specie le nocciole e le mandorle perché, spaccandosi, il guscio fa rumore, rievocando il colpo (di fortuna) e dissolvendo eventuali negatività.
Tra le carni di rigore è il maiale, simbolo di abbondanza perché delle sue parti nulla viene buttato e di fertilità, in quanto nell’antica Grecia era sacro alla dea della vegetazione Demetra. Gettonato anche il tacchino, perché tra i volatili da cortile è l’unico che non torna sui suoi passi, perciò aiuta a dimenticare il passato e a orientarsi verso il futuro.
La sera della vigilia, eco degli antichi digiuni rituali, di rigore una cena di magro, con il pesce come protagonista: il capitone, riflesso degli antichi banchetti romani, dove si mangiavano anguille in onore della dèa Angizia, protettrice della gola (proprio mentre il sole attraversava l’oscura gola solstiziale) e la carpa, perché anche quando le sue carni sono consumate, la forma del pesce con la testa e la lisca si conserva intatta, promettendo futura abbondanza e continuità.
Calore, passione e fecondità sono rievocati anche dalla frutta; gli agrumi simili a piccoli soli, l’uva e fichi sempre presenti nei banchetti nuziali e sulla tavola di Capodanno, dove la melagrana, con la profusione dei suoi chicchi rossi, promette sapienza e vitalità.
Nell’arco di tutte le feste, da San Nicola fino alla Befana, non devono mai mancare le spezie, malizioso e corroborante ricordo dei re magi, in più a San Silvestro non dimenticate i legumi, meglio ancora di sette qualità, anche se le regine del cenone di mezzanotte restano le lenticchie, simili a monetine e per questo augurio di ricchezza.
Siete in cerca di un’idea originale e nuova? Seguite l’esempio cinese e fate in modo che sulla tavola di Natale e Capodanno compaiano tutti e cinque i colori (giallo, bianco, rosso, verde e nero) e i sapori (dolce, amaro, acido, salato, piccante); in alternativa imitate la tradizione iraniana, che oltre alle stoviglie e alle candele rosse, prescrive sette alimenti che inizino tutti con la lettera “s”, perché in persiano simboleggia il fuoco.
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